Viva Garibaldi!
Credo di non essermi mai sentita così italiana come adesso, ora che vivo in una regione che ha pagato un altissimo tributo alla costruzione nazionale nel Risorgimento prima e con la Resistenza poi. È difficile comprendere come sia possibile che proprio il Veneto, regione traino del processo di indipendenza ed unificazione nazionale, sia caduta nell’“equivoco padano”, la menzogna etnica, il regionalismo più becero.
Se infatti il meridione ha per lo più subito la mobilitazione risorgimentale, che ha visto estromettere le classi subalterne, ignorando le masse contadine, è il nord Italia a rappresentare il cuore pulsante del dibattito risorgimentale. Il Veneto ricorda la partecipazione di altissime figure intellettuali di pregio del proprio panorama storico e artistico, all’epoca delle guerra d’indipendenza e del volontario intervento al processo d’unificazione.
Ma se date e fatti avvenuti in un tempo lontano non bastassero, per me che sono sarda, è un’esperienza emozionante ed incredibile riconoscere nella regione più leghista d’Italia, quale sensazione di grandezza storica hanno persino le pietre dei centri storici, come esse trasudino il sangue del sogno nazionale.
Che cosa è accaduto dunque? Cosa è mancato al “popolo veneto”, che insieme a quello sardo costituiscono le uniche popolazioni italiane ad assumere la dicitura “popolo” nei propri statuti regionali? Ad analizzare anche il fiorire, trasversale al Paese, di varie forme di insofferenza verso lo stato centrale, rivendicazioni locali ed auspicati ritorni alla frammentazione moderna, in senso storico, presentata come evoluzione e sviluppo necessario, quando invece è la più retrò delle scelte politiche, pare che l’indipendentismo, il regionalismo, il localismo abbiano riempito un vuoto politico, laddove è andata a inserirsi anche l’irrequietezza verso una globalizzazione oppressiva e schiacciante.
Nella mia tesi di laurea non è mancata una critica feroce a queste posizioni: il pensiero gramsciano, le sue riflessioni in seno alla questione meridionale e dunque alla questione nazionale, nell’immenso patrimonio indagatore del Gramsci proprio sul Risorgimento, ci è di grande aiuto. Conscia di questa ricchezza, mi appropinquo ai festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia: senza retorica si badi, non è necessaria quando i luoghi stessi te ne parlano e lo gridano in spregio al suo vilipendio.
Girando per le strade di Vicenza, chiacchierando con i suoi abitanti, è difficile trovare un veneto da generazioni: ognuno mi racconta del nonno, del padre, del lontano parente calabrese, pugliese, campano e sorridono della mia provenienza sarda e con un ghigno di preoccupazione si chiedono che ne sarà di questo Paese, di noi giovani italiani, perché qui il termine “italiano” si evoca senza pudore alcuno, come mai mi è accaduto di sentirlo in Sardegna.
Ho visto i ragazzi dalla penna nera sul cappello, li ho ascoltati parlarmi della loro passione civile, lontani dai fronti di combattimento, mentre spalavano il fango del dopo alluvione, ed ho pensato a quante penne nere abbiamo perduto lungo i fiumi di queste valli e sulle montagne. Già, sui monti e gli altopiani ossari e monumenti ci ricordano da dove veniamo, e siamo figli del Risorgimento e siamo figli della Resistenza. E allora viva Garibaldi e le camice rosse! Viva dunque le brigate Garibaldi della guerriglia contro il nazi-fascismo! Viva l’Italia, una, indipendente ed indivisibile! S.C.
Note personali. Propositi per il 2011 sotto il segno della nostra storia:
1. Risedere ai tavoli del Caffè Pedrocchi di Padova.
2. Andare ad ascoltare l’Aida di G. Verdi all’Arena di Verona.
3. Pellegrinaggio agli ossari sulle montagne venete ed altri musei. (vedi Asiago e Bassano)