Serata della scarpetta: improbabili incontri
Quando il pane unisce quattro Continenti
Dieci giovani, che vengono da ogni parte del mondo, siedono allo stesso tavolo e mangiano senza posate, ma non è una barzelletta, è l’incipit di questa storia.
Accade che due sardi, io e Matteo, organizzino un incontro particolare, una cena in villa a Rosà, sotto il segno della Confartigianato di Vicenza, per quella che è stata chiamata “La Serata della Scarpetta”: sulla tavola non ci sono posate, si mangerà “pociando” con il pane, un menu tipico di gran gusto, accompagnato da un buon vino altrettanto vicentino. Ogni tavolo prende il nome di un tipo di pane, il nostro, per nulla casualmente, è il tavolo “carasau”.
Accade, soprattutto, che gli invitati prescelti per il nostro tavolo, siano un vasto assortimento di umanità, diciamo pure il più multietnico dei gruppi: così, siedono tra i commensali due sardi, un’equadoregna, un italo-giapponese che parla abruzzese, un vicentino, una padovana, un padovano con sangue per metà pugliese, un siciliano, un’estone e un’anglo-sicula che parla vicentino e ha ormai acquisito anche il sardo nuorese. Come ha commentato uno dei miei capi, in ufficio, dopo aver raccontato il resoconto della serata, “neanche a New York”. Diciamo così, a me la purezza della razza non piace, mi piace l’internazionalismo, il cosmopolitismo, mi piace far parte del mondo, se esiste davvero un senso d’appartenenza che sia reale, mi piace soprattutto conoscere il diverso, scoprendo che non è mai diverso abbastanza, e che alla fine della fiera, all’ennesimo bicchiere di vino, le differenze non si notano più.
Accade persino che la prima grave carenza della serata, è l’assenza di un rappresentante dell’Oceania, perché il siciliano chiarisce che geograficamente e geologicamente la sua isola di provenienza è parte del Continente africano. In tre arrivano dal padovano, altri tre da Verona, noi e i nostri vicini da Vicenza: “Dio bon” esclamerebbe un leghista, “no ghe x’è più respeto de la tradision”. Siamo ancora all’aperitivo, quando chiedo ai veneti del gruppo di tirar fuori il permesso di soggiorno, perché pare evidente che i veri extra comunitari della serata siano loro.
Il pane unisce così, materialmente e metaforicamente, quattro Continenti, e a dirla tutta, anche il “bon” veneto, usato nel linguaggio comune del luogo, più o meno come la virgola. Torcolato sul tavolo, è ora del mio consueto giro, intrattenendo gli invitati: con simpatico garbo, non intendo, in queste occasioni, trascurare nessuno, e finisco, come al solito, per fare la giullare.
Una serata divertente, da ripetere, perché in tutto questo Melting Pot, è stato assai piacevole incontrarsi. Ecco quindi, che giunti al caffè, già si parla di riprogrammare un altro evento. S.C.
Grazie Stefania per le belle parole sulla serata. Lo so che la tua materia non è l’enogastronomia ma noi (sono uno dei quattro ristoratori che hanno partecipato)abbiamo lavorato mesi a fianco dei Panificatori per far capire quanto è forte l’impegno, il rispetto, la cultura e la passione che c’è dietro al mondo del pane (quello vero!). Non potresti completare il tuo commento con qualcosa che vada al di là della socializzazione (siamo ben felici che accada anche questo) ma raccontare l’emozione del presentatore Marco Valletta ad esempio, degli applausi spontanei nel vedere gli abbinamenti fatti con il pane ecc.. Grazie ancora e……….alla prossima tociàda!
Salve Roberto, non ho osato entrare nel tema enogastronomico, visto che non sono esattamente un’esperta, però le posso dire che mi piace mangiare e bere. Non entro nel merito specifico delle cose, ma la serata è stata davvero entusiasmante anche dal punto di vista culinario. Sì, il re della serata è stato il pane, non c’è dubbio. Quando Marco si è avvicinato al nostro tavolo chiedendo se il pane fosse erotico o afrodisiaco, ho pensato che non c’è niente di più erotico di qualcosa che si fa amorevolmente con le mani per allietare il palato. Amore che è venuto fuori chiaramente sentendo parlare i panificatori e sì, è davvero commovente, per me che scopro, nel vicentino, la grande tradizione artigiana, a cominciare proprio dal cibo, come frequentatrice dei ristoranti De.Co.
La vostra cucina io la assumo da straniera, diciamo così, e dunque mangiare è sempre una piacevole scoperta.
Dunque, direi che chi non fosse venuto a Rosà, non può perdersi la serata a Montecchio!