Sardegna: se il cuore sanguina
Sono passati diversi giorni, eppure la commozione continua fortemente a scuotermi. Sin dal primo giorno dell’emergenza i miei occhi si sono inumiditi e un groppo in gola ha lasciato tentennare la mia voce in un tremore doloroso.
Andare in ufficio con questo sentimento è stato difficile, la distanza si è fatta lacerante, ho passato le ore a controllare bollettini meteo e a leggere notizie, fare telefonate, mandare messaggi attraverso ogni mezzo di comunicazione.
Non ho avuto, fino a giovedì, la lucidità di chiedermi perché, quali fossero le colpe, se ce ne fossero, insomma, con tutta la comunità sarda migrante, ci siamo soprattutto posti il problema di aiutare nell’emergenza, di capire quali fossero le urgenze e come dare il nostro contributo.
Poi abbiamo fatto tutti le nostre considerazioni, abbiamo razionalmente analizzato la realtà delle cose sull’isola, lo abbiamo fatto accanto anche ai nostri amici e colleghi veneti che nel 2010 hanno vissuto l’esondazione del Bacchiglione, e anche allora il fango e la forza dirompente dell’acqua ha lasciato inermi le popolazioni colpite. Il fenomeno “Vajont” si è citato più volte, la questione del modello di sviluppo cementificatorio che non si cura dell’ambiente e della sua convivenza con l’uomo, che resta indifferente alla storia dei popoli e ai suoi insegnamenti che nel tempo hanno saputo riconoscere i limiti verso la natura, è emersa anche in questa pianura, all’ombra dei capannoni, mentre i fiumi si rettificano e si costruisce sotto il livello del mare, nelle paludi, intorno agli affluenti.
L’Italia si è stretta intorno alla Sardegna, lo ha fatto alla faccia del mito indipendentista sardo che non riconosce il valore aggiunto di far parte di una grande Nazione. Grande sì, perché oltre la miseria di questa nostra politica corrotta, incompetente e retrograda, i suoi cittadini di ogni parte si sono mobilitati, i tuoi vicini si sono preoccupati al punto da suonarti il campanello e chiederti come stava la tua famiglia, ti hanno inondato si messaggi, domande, il giornale di Vicenza ha dedicato 4 pagine all’accaduto, i nostri artisti, i più noti giornalisti e intellettuali si sono esposti per aiutare concretamente la Sardegna. Perché la Sardegna è parte necessaria e integrante di questa Grande Nazione.
In particolare, le comunità migranti sarde di ogni parte del mondo non hanno mancato un solo istante di far sentire la loro solidarietà, ma questo è dire poco, perché un sardo, qualunque sia la sua effettiva residenza, non smette mai di essere tale, e quando le immagini della devastazione ti passano davanti, e si fa la conta dei morti e degli sfollati, tu non sei più veneto, piemontese, laziale, olandese, tedesco, svedese, statunitense, argentino, australiano, ti senti anche tu su quel ponte che crolla tra Dorgali e Oliena, sei là, nel fango, che cerchi di sopravvivere, sei il padre che abbraccia il figlio di tre anni che aggrappato cerca di resistere alla bomba d’acqua, sei la mano del ragazzo di Bitti che stringe il padre perché l’acqua non se lo porti via, sei il pastore che ripara il suo gregge nell’ovile, mentre fuori scoppia l’apocalisse, sei il padre di Uras o San Gavino, o Terralba con gli stivali e la pala.
Tutto questo suona retorico, lo so, ma non m’importa affatto, perché quando ti sanguina il cuore, il rischio è che si diventi troppo retorici. E francamente, a vedere i luoghi che erano casa mia spazzati dal ciclone, io che su quel ponte ci sono passata mille volte, a vedere i miei amici con la pala in mano, o che preparano i pacchi per i bambini di Olbia, non ho nessuna voglia di cercare un’imposta fredda razionalità. S.C.