Sardegna: “grillismi” 2 il proseguo
Parto per la Sardegna dopo aver letto un’intervista a Michela Murgia che mi lascia piuttosto basita su come l’Indipendentismo sardo viva in una realtà tutta sua, che proprio da sarda mi stupisce per la sua costruzione fuori dal tempo e dalla storia.
O meglio, l’indipendentismo sardo va incanalandosi sempre più all’interno di questi nuovi movimenti disordinati, emotivi, protestatari verso un’effettiva incompetenza e inefficacia della classe politica, un grillismo a tinte sovraniste e dal sapore francamente interclassista, che spera di poter fare a meno di due secoli di storia, dove si è effettivamente messo in luce quanto la società sia strutturalmente conflittuale.
Michela Murgia si candida a Governatore. In un Paese normale, per usare le sue stesse parole, ognuno farebbe il suo mestiere, perché la scrittrice è effettivamente molto brava a raccontare storie, piacevole da leggere, è che quando si passa all’analisi politica il luogo comune è dietro l’angolo e ci si ritrova a sentir ripetere le solite manfrine per cui tutti “temporaneamente” possono sentirsi chiamati ad occupare cariche di forte responsabilità, le cui scelte pesano su milioni di persone, sentendosi così virtuosamente capaci di gestire un enorme potere. Certo bisogna avere un Ego smisurato per sentirsi tanto capaci, oppure molta ingenuità, come ci dimostrano i parlamentari grillini, non capendo che tutte le più belle idee e i più buoni propositi dovranno, prima o poi, scontrarsi con migliaia di pressioni lobbistiche, interessi contrapposti, insomma, con quel conflitto endemico alla società di cui sopra. E lì, dovrai finalmente calare ogni ambiguità e decidere da quale parte della barricata stare: l’interclassismo di solito finisce per dimostrarsi assai sensibile ai poteri più forti, inevitabilmente. Sarà che io in politica ci bazzicavo quando ancora avevo i denti da latte, ma non ho mai pensato che la vocazione, la missione, che pervade la vita di chi fa politica seriamente, spesso fuori dalle cariche più alte, possa essere un contributo al vivere civile “temporaneo”: ci vuole professionalità, passione, qualsiasi cosa s’intenda fare, figuriamoci laddove da te dipende la vita di tante persone.
La candidata sostiene che sui sardi si siano raccontate molte storie, aggiungerei che se ne raccontano per tutti i popoli della terra: sui veneti ad esempio, miei attuali compaesani, ne sento raccontare parecchie, dagli stessi sardi per dire, ma la verità è che i pregiudizi e i luoghi comuni fanno parte di tutte quelle persone che non viaggiano, che non si confrontano, che, per dirne una, restano ancorati alla loro isoletta a raccontarsi come siano splendidi, unici e fantastici.
I problemi della Sardegna derivano da sardissime scelte. Il detto sardo “chi benit dae su mare, benit pro furare” (chi viene dal mare, viene per rubare), che ci racconta tutta la sofferenza di un passato coloniale, perde di validità a cominciare dalla nascita della Repubblica, e successivamente della Regione Autonoma della Sardegna: la sovranità dei sardi è tutta dentro quell’Autonomia forte e ricca di opportunità, ma ci sono regioni autonome come il Trentino, che in piena crisi continua a crescere, e regioni come la Sardegna, incapace di sfruttare tutta la sua sovranità per essere esempio di efficienza. Ma la colpa non è di chi viene dal mare, la colpa è della nostra sardissima classe dirigente: ecco perché l’interclassismo non regge, questo mitico “popolo sardo” vessato dalle altrui decisioni.
Il problema non è che i sardi non sanno fare impresa: il problema è che manca il capitale, le infrastrutture e la condizione insulare resta, per cause politiche, un enorme handicap. Dopo di che, la condizione storica di tipo coloniale ha anche creato una mentalità diffusa assistenzialista, così come storicamente i sardi non sono riusciti a creare forme aggregative ad ampio raggio di tipo produttivo e commerciale né sotto forma di distretti, né di cooperative. Il modello industrialista delle cattedrali nel deserto, catapultato dall’alto e imposto in una trama sociale e paesaggistica contrapposta, è fallito. Ma chiariamoci, possiamo passare il tempo a dirci che i sardi in realtà sono degli straordinari imprenditori, ma per una impresa sarda che nasce, in Veneto ce ne sono mille, al di là delle analisi precipue del caso. Possiamo anche dirci che i sardi non hanno colpe del loro sottosviluppo, che basta diventare indipendenti, esulando da tutta l’analisi storico-economica, nonché materialista, della faccenda, ma vi comunico che i sardi hanno grandissime responsabilità del loro sottosviluppo e non è facendoci la nostra “riserva indiana” per sventolare i quattro mori e scrivere o parlare “in limba”, che ci togliereremo da questo oscurantismo.
Abbiamo i più alti tassi di abbandono scolastico, è vero, ma non perché qualcuno ha detto che non fosse necessario studiare, ma perché studiare in condizioni di sacrificio estremo, che significa non potersi permettere economicamente di abbandonare la famiglia sul cucuzzolo della montagna e trasferirsi nei due maggiori poli universitari, o ancora raggiungere i capoluoghi per presentarsi a scuola tutti i santi giorni con trasporti e infrastrutture da Terzo Mondo, con un dispendio di tempo ed energie, sottratte alla condizioni di miseria e di fatica in cui spesso si vive nei centri barbaricini, mi pare una motivazione più seria. È difficile comprendere tutto questo se non si conosce quella realtà, sarà che la Murgia è nata e dice di voler vivere per sempre a Cabras, nell’oristanese, ma io ricordo bene cosa significasse per i miei compagni dell’entroterra dover venire a Nuoro a studiare al Liceo: in troppo pochi sanno che il sistema ferroviario sardo è rimasto quello costruito da Cavour e prima ancora sotto la dominazione piemontese, che gran parte della Gallura è stata disboscata per costruire le ferrovie del nord Italia, che i binari sardi sono a scartamento ridotto e dunque non possono supportare treni di nuova generazione, che solo una minima parte del territorio sardo è servita dal sistema ferroviario e che per il resto ci si deve arrangiare su strade da Paese in via di Sviluppo. Ma raccontiamoci pure da queste premesse basterà un moto d’orgoglio a risollevare le sorti dell’isola.
La Sardegna si dimostra incapace di usare i fondi europei destinati proprio allo sviluppo, alla ricerca ecc.: denaro che torna a Bruxelles per Inettitudine, Ignoranza e Inerzia. Tre sardissime I che mi toccano da vicino, visto che il mio sardissimo compagno lavora proprio nell’ambito dei progetti europei per la Confartigianato di Vicenza: competenze che varcano il mare perché in Sardegna non hanno ancora ben capito che farsene.
L’emigrazione è aumentata in maniera vertiginosa, restano i duri e puri in una resistenza a oltranza, aggrappati a un’identità, anche qui mitica, che spesso nei fatti ignora la verità sulle condizioni e sulla storia isolana: idee di nazione spuntano astoricamente a tingere rivendicazioni feudali, si erigono leggende spacciandole per Storia, si elude la partecipazione della Sardegna al processo risorgimentale prima e a quello antifascista e repubblicano poi.
Piuttosto che restare in riserva, sarebbe bene che certi soggetti iniziassero a conoscere il resto del mondo per accorgersi che si può vivere in maniera diversa, che si può costruire rispettando la tutela del paesaggio e sfruttando le risorse locali, che si può lavorare nel rispetto delle normative vigenti, che si può essere curati meglio, che ci si può ribellare e che i potentati locali oggi, più di ieri, camminano su sabbie mobili e che i soprusi non sono più ammessi, il clientelismo, se non è alimentato, muore. Problemi italianissimi per una regione, mi spiace per gli indipendentisti, nel bene e nel male italianissima come le altre.
Esiste un’altra Sardegna possibile, ma il percorso è lungo, è una rivoluzione culturale che bisogna accendere, e purtroppo non il grillismo e l’interclassismo di questi nuovi progetti indipendentisti potrà essere capace di attuarla. Il centro non è la Sardegna, il centro è l’uomo, piccole prospettive portano a piccoli risultati. Grandi prospettive hanno grandi ambizioni, grandi obiettivi: che la sardità, o sarditudine che dir si voglia, sia volano e non ceppi di catene. S.C.
Ciao Stefania, mi imbatto fortuitamente in questo post e, da sarda, (e)migrata e allergica all’improvvisazione in politica quale sono, sento di dover palesare il mio ASSOLUTO consenso a quanto scrivi. Buone cose