Pillole dello “Stefania Pensiero” 15

 

Lavoro per la Ferrero, sì, quella della Nutella

Lavoro per la Ferrero, sì, quella della Nutella

Al lavoro

 

Orgoglio

Siamo in un supermercato. Si fa la spesa, quando incappiamo in uno scaffale totalmente dedicato ai prodotti Ferrero. Mi soffermo e dico a Matteo: «Vedi tutto questo?».

Matteo: «Sì, un giorno sarà mio?». Risponde allora, evocando un ripetuto passaggio cinematografico e letterario.

Io: «No, però mi sento abbastanza tronfia nel costatare che tutto questo bendidio è qui anche grazie al mio lavoro».

 

Stacanovismo

Il capufficio: «Stefania, non fai la pausa? Hai un’ora di pausa, non un minuto meno, non un minuto di più, la pausa si deve fare!»

Io: «Solo a me poteva capitare un capufficio che m’intima di fare le pause e le ferie, solo a me!».

 

Caldo

Il capufficio è il primo ad arrivare la mattina. Molto premuroso, chiude tutte le finestre e mette i condizionatori al massimo affinché io trovi l’ufficio fresco, perché si sa “la Stefania soffre molto il caldo”. Così commenta: «Non si è mai vista una sarda che soffre così tanto il caldo, dovevi nascere a Bolzano!».

La collega: «In effetti, visti i colori, ti saresti mimetizzata benissimo».

Io: «Ma io lo dico sempre che ho sbagliato il posto dove nascere».

 

Autotrasportatori

Matteo mi ha appena finito di raccontare la sua giornata di lavoro in Confartigianato.

Io aggiungo, tra il serio e il faceto: «Beh, ma tu non hai gli autotrasportatori che se t’incrociano per strada e ti riconoscono, ti salutano con i loro clacson che sembra una nave da crociera che lascia il porto! O che ti fanno segnale con gli abbaglianti e ti bloccano il traffico con i loro colossi per lasciarti passare! Fa un certo effetto…».

 

Non solo cioccolato

Matteo: «Tu, solo alla Ferrero potevi lavorare, con tutto il cioccolato che ti mangi!»

Stefania: «Tutta invidia perché nel fantastico armadietto dell’ufficio ho sempre un cioccolatino per accompagnare il caffè, o una merendina per la seconda colazione delle 9:30 e i fonzies e gli yonkers per lo spritz della sera! E naturalmente il tutto senza prendere un grammo».

Matteo: «Ecco, ricordati di portare a casa la mia dose».

 

Paese che vai, usanze che trovi

La collega: «Ma tu adesso torni a Cagliari, dove ci sono le tue amiche?».

Io: «No, sarò nella mia zona, i genitori ci vogliono vicini, ma non mancheranno le occasioni di scendere direttamente a Cagliari».

Lei: «Ah ecco, ma com’è Cagliari?».

Io: «Una bellissima città, non ci sei mai stata immagino. Veramente spettacolare per molti aspetti, un giorno se vuoi ti ci porterò!».

Lei: «Sì, perché no, certo…».

Io: «Però ti avviso, è un altro stile di vita, un altro mondo, pare strano, però è così, è un modo di vivere diverso».

 

Ho studiato il francese, l’inglese e lo spagnolo, poi ho scoperto che avrei dovuto imparare il veneto

All’ennesima insistente telefonata della stessa persona, il collega vicentino T* commenta: «Mi son stufà, Dio bon, mì son stufo eh, x’è un calvron, “calvron” hai capito Stefania?».

Io: «Francamente no».

T*: «X’è un calvron, un calabrone, fastidioso come un calabrone! È un uomo poi, così, che non ha combinato nulla nella sua vita, noi diciamo un madego, sai tu?».

Io: «Cioè?»

T*: «Un madego… M*, come lo ciamate voi altri el maggengo, l’erba de maio?».

M*: (collega padovano): «Il maggengo? Mesengo, masengo…».

T*: «Noi altri madego».

M*: «Ma xe proprio magnagati cio!».

Io: «Madego… nel senso di una persona di poca sostanza?».

T*: «Sì, esatto».

 

Incontri

C*: «Oh, la Stefania, che xea?».

Io: «Come scusa?»

C*: «Che xea?».

In un millesimo di secondo richiamo alla memora il “que pasa” della lingua spagnola e penso che mi stia chiedendo come sto. Indovino.

Io: «Bene dai»

C*: «Bon, bon!»

 

Confronti linguistici

C*: «Mi piacerebbe imparare un po’ di sardo, per esempio come si dice… non so… “si fa quel che si può” in sardo? Da noi è “se fa quel che se poe”».

La guardo, sorrido, e le dico in nuorese: «Si faghet cussu ca si podete».

La collega mi guarda con una faccia a punto interrogativo imbarazzante. Le riscandisco le parole e le spiego i termini, la pronuncia e come dovrebbe scriversi.

C*: «Rinuncio».

E ora la Cassazione mi venga a raccontare che il sardo è un dialetto e non una lingua.

 

Add Your Comment