Pillole dello “Stefania Pensiero” 11
Sulla malattia
A***: «Sai, le tue poesie mi lasciano una grande tristezza. Non c’è speranza, nessuna speranza».
Io: «Sì, per quello che intendi tu come speranza, ma che cos’è la speranza? Una volta ho scritto un pezzo che s’intitola “La speranza è una cosa seria”, troppo spesso la vostra speranza di malati è legata alla guarigione e per questo voi sì, davvero, perdete la speranza. Io però ho fatto un percorso diverso, ho dato uno spessore diverso alla mia esperienza umana e al ruolo della speranza» dico quasi sospirando, con una voce profonda, diaframmatica, quella delle circostanze più dolorose.
«Quando entro in ambulatorio» continuo allora a capo chino, con gli occhi che brillano come per una commozione imminente «io non lascio fuori dalla porta il mio estro artistico, la mia sensibilità, la mia intelligenza, la mia empatia, tanto meno la mia coscienza critica. Per me la speranza è trovare un medico che colga, che investa, che apprezzi questa profondità, ma ci vuole tanta umiltà. Oggi io entro in ambulatorio pensando che ho un idiota davanti, superficiale, gretto. Questo mi difende e quando accade qualcosa d’illuminante, allora mi sorprendo piacevolmente, ma non mi aspetto mai nulla di buono. Perciò se leggi attentamente, la speranza c’è, è la speranza con un volto umano, perché la scienza non è mai abbastanza».