Per il lavoro
In questo Paese l’ovvio diventa straordinario.
Uscire dalla crisi non significa certo un punto in più del PIL, o un temporaneo buon andamento della Borsa, né tantomeno possiamo rifare l’errore di affidarci all’alta Finanza, che gioca con i soldi facili delle speculazioni.
Ciò che è mancato in questi anni è una politica seria per il lavoro: la produzione, lo sviluppo tecnologico e il progresso sociale, attraverso un miglioramento del tenore di vita delle classi subalterne ed in modo particolare un investimento serio sul lavoro dipendente, oltre che sulla piccola e media impresa, che di fronte alla crisi industriale, può ancora reggere il colpo, se solo legislazione e ricerca fossero a loro vantaggio.
L’unico modo per uscire dalla crisi è ricominciare a parlare di lavoro, porre la questione dell’occupazione come prioritaria ad ogni tavolo decisionale. Occupazione, vera, non certo quella dei “contrattini” da fame del modello neoliberale del precariato a vita, parlo di un’etica del lavoro che restituisca dignità al lavoratore e spinga le famiglie a cercare un miglioramento delle proprie condizioni attraverso il consumo ed altre forme di godimento dell’era contemporanea.
La proletarizzazione della classe media e dei piccoli imprenditori costituisce un elemento preoccupante dell’andamento economico di un Paese, messo in ginocchio dall’immobilismo e dalla corruzione. Occupazione è la parola chiave per ricominciare a far muovere la macchina dell’economia mondiale. Nuove, inoltre, sono le scommesse del millennio che stiamo vivendo, a cominciare dall’acquisizione di un modello sostenibile di sviluppo, non più basato sulla crescita, ma piuttosto che punti ad un benessere trasversale a partire dai nuovi valori della salvaguardia ambientale, dell’emancipazione sociale, dell’affermazione dei diritti umani.
Il lavoro non è solo un diritto, sancito con chiarezza dalla Costituzione, il lavoro è soprattutto un valore su cui fondare la società del domani.
S.C.
La generazione perduta: lavorare in Italia
Questo articolo è stato pubblicato su Report On Line
La crisi attuale sembra non aver insegnato niente. Nulla è cambiato, le banche stanno ricominciando a fare soldi con gli stessi sistemi, le assicurazioni continuano a proporre investimenti e prodotti spazzatura forti della paura del futuro che attanaglia intere generazioni che si vedono sparire il futuro davanti agli occhi. La prossima crisi, quando verrà, porterà lacrime sul serio.
Questo è un paese dove tutto è immobile. Il mondo cambia, ci piaccia o meno, ma noi rimaniamo fermi. La tanto sbandierata flessibilità, se ben sostenuta da uno stato decente e da adeguati paracaduti (leggi paesi scandinavi, Canada e altri), può essere una buona opportunità di crescita (e non parlo solo di PIL ma anche, per molti, di crescita personale). Qui invece la flessibilità riguarda solo la forza lavoro mentre gli altri attori economici rimangono graniticamente immobili, come se stato e banche non dovessero anch’essi adeguarsi alla nuova situazione economica.
Siamo senza speranza e con poco futuro.
Condivido.
Il discorso sulla flessibilità è molto complesso e per ora se n’è sparlato a sproposito.
Hai ragione, ma se non si rivaluteranno certi cardini dell’economia liberista, cambierà ben poco. Le crisi si alterneranno alle ristrutturazioni del sistema, e il lavoro sarà sempre più sinonimo di sfruttamento.
Sì Fede, concordo. Ma mentre aspettiamo la rivoluzione sarà il caso di sopravvivere…
Politicamente, finché non si scioglie l’equivoco dell’interclassismo – e quindi si continua ad occultare il conflitto tra lavoro e capitale – non potrà cambiare mai nulla qui da noi.
Giusto per fare un esempio attuale: oggi la priorità di politica economica (facendo finta che la vera priorità non sia sistemare le questioni personali del premier) è il taglio dell’IRAP. L’unica imposta quasi impossibile da evadere, nella patria dell’evasione fiscale.
Nota bene: la priorità non è contestata dall’opposizione parlamentare, che ripropone in sostanza la vecchia solfa del “ma anche” (—> link). E non dice nemmeno “ma anche” ai precari, ai salariati e ai pensionati. Dice “alle famiglie”. E non è la stessa cosa. Soprattutto sul piano comunicativo.
Vabbe’, a commento di un post come questo, ci sarebbe molto altro da aggiungere, in verità, ma non voglio rubarti troppo spazio. Più che altro ero passato per un rapido saluto, ma poi non ce l’ho fatta a scriverti solo ‘ciao’… Alla prossima. 🙂
M.
L’interclassismo è la piaga di questo Paese.
L’opposizione è tale solo di nome, perché per il resto continua a preferire far gli interessi delle solite classi e del solito Capitale.
M. il fatto è che bisogna ripartire dal lavoro, comunque.
Certo, Stefania. Centralità del Lavoro, assolutamente! 🙂
D’altra parte, il Capitale altro non è che Lavoro alienato e accumulato, per cui… 😉
Però, quello che intendevo aggiungere io al tuo scritto – per me ampiamente condivisibile – era che qui resta alquanto sottotraccia l’evidente fallimento di quella leggendaria mano invisibile che nel mercato tutto dovrebbe regolare al meglio… Un’economia di mercato che per non crollare deve trasferire denaro pubblico (= dei cittadini) al sistema bancario privato, che sul mercato era di fatto fallito è la prova provata che la vera ideologia (= falsa coscienza) era quella del vecchio liberismo del laissez-faire, mal riciclato nella sbornia anticomunista post 1989.
E allora se l’ago della bilancia diventa nuovamente l’intervento pubblico, la priorità del Lavoro non può prescindere anche dalle opzioni politiche di chi ha il potere di prendere le decisioni nel settore pubblico. Un potere che lavoratori, studenti e pensionati (un blocco sociale in grado di essere maggioranza assoluta), nella confusione interclassista delle democrazie postmoderne, delegano – come tu ben sai – a chi in realtà non mette al primo posto i loro interessi.
Queste sono cose che, secondo me, vanno dette e ridette perché il logorio della propaganda di questi ultimi 15 anni, l’individualismo miope imperante e, non ultima, la parcellizzazione normativa delle forme contrattuali hanno letteralmente cancellato l’idea stessa di solidarietà di classe. E senza la doverosa rivalutazione di quest’idea non si va proprio da nessuna parte, non credi?
Buona giornata. 🙂
M.