Lettere dal Nord-Est
Carissima L.,
trovo finalmente un po’ di tempo per scriverti, a dir la verità mi è difficile, ultimamente, trovare lo spazio per dedicarmi alla più soddisfacente delle mie attività, ovvero quella dello studio e della scrittura. A gennaio credo andrà meglio.
Sai, certe mattine le temperature scendono sotto lo zero, fuori dal finestrino dell’auto, mentre mi reco in ufficio, i campi di mais, ormai ridotti a stoppie dopo il raccolto, sono completamente gelati, così come i giardini e gli angoli di verde della città. Tiri fuori ogni arma per difenderti dal freddo, sfrutto con piacere tutti gli accessori invernali che come sai adoro, dai cappellini ai guanti, mi diverto a sfoggiarli per le strade affollate di Vicenza, e mi trovo in buona compagnia, mentre qualcuno ha il coraggio persino di girare in bicicletta. I vicentini escono con qualunque tempo, li vedi passeggiare sotto la pioggia o con una nebbia impressionante. Ecco appunto, sono giorni di nebbia, ma ancora non ha nevicato stranamente.
A più di un anno dalla mia partenza dall’isola, ho deciso di fare una sorta di bilancio, mi guardo intorno e quasi mi sento in colpa per non aver alcun sentimento nostalgico, l’unica cosa che ogni tanto mi rattrista è il non poter condividere certi momenti con te, con voi, con gli amici più cari. Sono certa che apprezzeresti le passeggiate per il centro storico, una chiacchierata nella mia cioccolateria preferita del corso, una cena nel mio agriturismo di fiducia, un passaggio in qualche spaccio o libreria, con quei volumi che non stampano più e che solleticano la nostra curiosa fame di conoscere. Devi vedere che meraviglia il centro storico addobbato per il Natale, è qualcosa di superlativo, magico.
Dev’essere proprio per quest’ultimo fatto, per questa mia curiosità accesa verso il diverso, che ho preso a studiare la cucina veneta. Mi diletto sempre più ai nuovi sapori padani con un retrogusto austriaco, una passione culinaria che sorprende anche le colleghe, mentre racconto le mie imprese, dal baccalà alla vicentina con polenta, passando per gli strudel, gli asparagi alla bassanese, fino al risotto alla trevigiana, scoprendo i modi più disparati per cucinare la polenta, una tradizione ricca di sfumature di cui noi, in quel di Barbagia, non ne abbiamo nemmeno idea. L’ultima scoperta è il risotto al prosecco con gorgonzola speck e pere: non puoi capire!
La mia fattoria biologica di fiducia mi fornisce i più genuini prodotti del luogo, a chilometro zero, come si usa dire, mentre scopro un nuovo modo di approcciarmi all’alimentazione e al vivere quotidiano: ho finalmente risolto il problema dell’infezione urinaria, dopo un decennio d’inutili antibiotici, ho iniziato a studiare della microbiotica intestinale e tramite il mio naturopata abbiamo valutato una metodologia più intelligente. Lo sapevi che dagli esperti è considerata una follia usare gli antibiotici per la contaminazione da batteri che fanno parte della naturale microbiotica intestinale? Ebbene sì, come al solito la prassi medica spara nel mucchio, o meglio, usano le bombe atomiche invece che i cecchini, e per risolvere in maniera intelligente un problema che è prettamente di riequilibrio, bastano i probiotici e un’alimentazione mirata.
Nonostante la mia buona forchetta, accompagnata ormai dai vini veneti, in particolare dal prosecco che venero, sono molto dimagrita, mi dicono, probabilmente per il mio ritrovato attivismo, dopo l’angioplastica. Certo, i miei problemi emodinamici non sono ancora del tutto risolti e il fatto è che i miei compagni di sventura caricano di troppe aspettative l’evento, ma del resto non è una loro colpa, piuttosto è stata la gestione mediatica che fin dall’inizio ha caratterizzato la questione, a creare falsi miti, laddove, come in tutte le cose che riguardano l’organismo, è la complessità a far da padrona. Intanto, da una parte e dall’altra, si continua a tagliare le cose con l’accetta, a scapito, come al solito, dei pazienti. Come ci si riempie facilmente la bocca con le parole “multifattoriale”, “multidisciplinare”, per poi ritrovarsi a combattere con un approccio sempre a senso unico, con i paraocchi e il pallottoliere, perché per quanto cerchi di ricordare di essere una persona, resti un dato statistico. E i vari esperti di sclerosi multipla sciorinano grandi verità fino alla prossima pubblicazione che metterà di nuovo tutto in discussione.
A distanza di un anno, posso dire che sui veneti sono cadute molte pregiudiziali, quelle leggende metropolitane che dividono sempre nord e sud e che con la realtà hanno ben poco a che fare. Ad esempio, da noi si racconta dei settentrionali come di persone poco solidali, egoiste, incapaci di sentimenti puri di sostegno: niente di più falso, ho visto molta più solidarietà tra il Piemonte e il Trentino, che non nei 28 anni della mia esistenza in terra sarda. Il fatto è che noi siamo “pochi e mal uniti”, come si dice a conferma di quanto constato a distanza, e non riusciamo a vincere questa sindrome del “muretto a secco”, che ci divide inesorabilmente, incapaci di trovare forme di aggregazione. Per carità, anche i veneti conoscono il particolarismo municipale, che si sente e ci si ride pure sopra, eppure, per quella loro pragmaticità e concretezza, sanno superare le divisioni in nome del raggiungimento degli obiettivi. Una cultura del fare, che mi sento appartenere ben più della rassegnazione meridionale, perché dopo millenni di schiavitù, per la popolazione sarda sembra difficile uscire da quell’atteggiamento servile verso il potente, il signore, il dottore. Questo servilismo mi appare sempre così tratteggiato chiaramente che crea una distanza tra me e i miei conterranei ben più profonda di quella del mare, e quel loro insopportabile arrendersi al “così è e non può cambiare”, perché da secoli al sardo le cose sono state spiegate così, cioè naturalmente concepite, per cui non rimane che subirle. Il veneto invece, s’indigna, si rimbocca le maniche e cerca i varchi per uscire dall’immanente e si crea la sua dimensione, e diffida sempre del padrone, del signore, del potente. Questa è certo la mentalità di base a cui le eccezioni si aggiungono e compaiono ad annullare la sobrietà e l’umiltà dell’etica del lavoro di chi la sua fortuna se l’è costruita, e da civiltà contadina è diventata volano dell’economia nazionale. Ma la condanna è generale, e l’eccesso è mal visto, totalmente esecrabile. C’è da dire che a volte troppo materialismo porta i veneti a perdere il piacere del teorico, dello spirituale, dell’impalpabile, a volte il peso della tua cultura emerge in maniera così palese che ancora una volta mi tocca riaffermare il motto “in medio stat virtus”.