La scrittura è impaziente, ma non ha fretta
Scrivo e pubblico poco ultimamente, lo so: qualcuno che misura la sua capacità in termini temporali tipo “io scrivo un romanzo in 15 giorni”, è semplicemente un idiota che si appresta a dare alla luce un aborto letterario. Scrivere è faticoso, un lavoro tormentato che richiede il silenzio della ricerca e dell’osservazione.
In questo momento sto studiando su due fronti: uno storico, rievocando i fatti del primo conflitto mondiale e della presenza dei soldati sardi nel vicentino; uno più psicoanalitico sul rapporto tra umani e felini, seguendo un percorso già tracciato e molto suggestivo.
Inoltre, non mancano le mie riflessioni sul fanatismo scientifico e sull’umanesimo, l’importanza della scienza e i suoi limiti. Sono argomenti che trattare con superficialità, riportando tutto a un mero esercizio estetico, mi disturberebbe.
Il mio silenzio è fatto di trame che vanno costruendosi, dialoghi e personaggi che prendono vita dopo mesi di gestazione, angosce e inquietudini che li attraversano, passando per la mia coscienza. Una raccolta di versi ha anni di lavoro nel gioco travagliato tra significati e significanti, tra sintassi e semantica. Lo scrittore non è altrove però, lo scrittore è immerso nel qui e ora, la scrittura meramente contemplativa che sfugge alle trasformazioni quotidiane e alla loro opera costante, attiva e passiva, non m’interessa, e in questo c’è tutta la mia formazione gramsciana.
È ancora Marcello Fois a ricordarci che diventare scrittori richiede tempo, fatica, che la scrittura non si misura con le apparizioni televisive e le case editrici di appartenenza, con il successo quantificato con il numero delle copie vendute. Questo mi fa tornare alla mente l’indifferenza del pubblico verso la prima edizione de “Un anno sull’Altipiano”, o la piccola casa editrice con cui “Il giorno del giudizio” viene in prima istanza pubblicato, l’indifferenza dei loro contemporanei verso altri immortali poeti. Forse, la misura esatta con cui giudicare un’opera, scrive bene Fois, è la sua sopravvivenza al suo autore [M. Fois, “In Sardegna non c’è il mare”].
E tutto il resto è pura vanità. S.C.