Indignata sì, ma da sempre
La manifestazione di sabato a Roma, con annessi e connessi scontri di piazza, ribellismo incendiario e l’ennesimo fallimento tutto italiano delle cosiddette forze dell’ordine, mi porta a dover fare alcune riflessioni in merito.
Da marxista, guardo a questi movimenti spontanei con una certa diffidenza: un’indignazione non ben incanalata che si dice apolitica e che però pone delle questioni politiche chiare, lascia un sapore d’ambiguità e di sprovveduto senso di smarrimento.
Dopo la fine delle forme disastrose del socialismo reale, il Capitalismo si è trovato in una condizione di totale libertà d’azione, estremizzato dalle più turpi espressioni del neoliberismo, nel silenzio di quelle che dovevano essere le forze politiche d’opposizione, che hanno pensato di garantirsi la sopravvivenza accodandosi passivi al sistema, di più, ne sono diventati parte integrante e propositiva, organici a quel modello di economia e di società.
Ma i sopravvissuti comunisti, da ormai almeno due decenni, hanno continuato a porre la questione delle contraddizioni del modello di sviluppo imperante, sostenendo a gran voce che non avrebbe potuto reggere per sempre: eccoci dunque all’ennesima crisi endemica e periodica del Capitalismo, cui si aggiunge con sempre più forza la questione ambientale, laddove allo sfruttamento incontrollato delle risorse del pianeta, si è aggiunta una maggiore consapevolezza della loro scarsità e caducità.
La nostra critica è continuata a cadere nel vuoto, mentre ci si additava come sorpassati, ma oggi sempre più persone si definiscono “indignate” da un sistema, dove il solco tra mondo produttivo e finanza è sempre più profondo e la questione del debito, del lavoro, di una classe dirigente incapace del coraggio di cambiare, affermano la necessità di riporre al centro del discorso la persona. Eppure questo 99%, come si è detto in questi giorni, non desidera avere una connotazione politica, ma nel farlo disperde le proprie energie, non ha un’organizzazione, non si pone come effettiva alternativa politica. Si perde.
Si è costruita una società, dove l’individualismo e l’egoismo sono così penetrati nella coscienza collettiva che difficilmente si accetta una cosiddetta “etichetta”, così svuotando il significato esistenziale dei movimenti di massa. La forza del numero si disgrega e delle migliaia di persone che hanno manifestato in 87 paesi del mondo, non resta che il messaggio distorto dello scontro generazionale e della rabbia collettiva di fronte alla crisi.
Per non parlare poi di quella parte massimalista, che ha la stessa spinta rivoluzionaria di un piromane qualsiasi: zero. Storicamente c’è sempre stata una parte più oltranzista, ma ha avuto sempre effetti devastanti sui movimenti d’opposizione più organizzati, inutili alla causa e persino a se stessi. Ancora oggi ci si chiede “ma che vogliono questi?”.
Ecco, appunto, della parte propositiva non resta nulla, solo una pioggia di sanpietrini. Il caos rabbioso di quattro ragazzini incappucciati e vestiti di nero, militarizzati come le peggiori squadracce, finisce per sostituire la folla sterminata di manifestanti che pongono delle questioni poco originali: i comunisti lo dicono da sempre, da quando Karl Marx pubblicò il suo Manifesto, e allora scusate il mio scarso entusiasmo di fronte ai “nuovi indignati”.
La crisi ci lascia la possibilità di cogliere il momento per riporre con più decisione le questioni che ci stanno a cuore, è l’occasione per ribaltare il sistema, costruire un nuovo modello di sviluppo, ridare significato al progresso dell’umanità. Ma forse siamo troppo deboli, forse anche questa dispersione di energie finirà per farci perdere l’ennesima opportunità. S.C.