In cammino: identità in movimento
Premessa – Le cose sono andate così: mi sono resa disponibile ad aiutare l’associazione G. Deledda di Vicenza per l’organizzazione della mostra, inaugurata il 5 ottobre, “Fratelli d’Italia – l’Unità d’Italia celebrata per immagini”, un progetto della FASI (Federazione Associazioni Sarde in Italia); ovviamente ho cercato di curare l’evento in base alle mie competenze, ovvero sotto il profilo della comunicazione. Ebbene, accade che in un tardo pomeriggio io e la Presidente di Vicenza dissertiamo sulle mosse da compiere, davanti ad un aperitivo analcolico alla frutta, lungo la Riviera Berica. Chiedo i nomi degli oratori della presentazione della mostra e allora lei mi fa l’elenco e aggiunge: “noi vorremo che fossi tu a rappresentare l’associazione vicentina”. Io rido: “per dire cosa?”. La Presidente mi ricorda che sono quella più preparata, che ho una formazione storica, sono un’appassionata gramsciana, e “sei bella, sei giovane, sei spigliata, sai parlare davanti a un pubblico e poi, bionda, occhi azzurri, chi meglio di te può sfatare un certo stereotipo del sardo”. Ridiamo, accetto soprattutto per l’ultima esternazione dicendo: “Ok, m’immolo per questa buona causa”. Così, mi sono ritrovata a dover seriamente riflettere sul concetto di Patria, di analizzare la questione nazionale e i movimenti indipendentisti.
Il mio intervento, 5 ottobre 2013
Non intendo fare il solito discorso patriottico, retorico. Piuttosto vorrei lasciarvi qualche spunto di riflessione, più domande che risposte, anche alla luce della tragedia per la quale si è giustamente deciso per il lutto nazionale: come ci ha scritto lo stesso Paulesu [curatore della mostra e autore del libro “Nino mi chiamo”], la mostra, in considerazione di quanto accaduto recentemente, “offrirà suggestioni molto differenti da quelle che ha ispirato nell’anno delle celebrazioni”.
Credo che sopravviva un equivoco ottocentesco per il quale l’identità è un qualcosa di statico e irremovibile, equivoco su cui si sono giustificati non solo i più sanguinosi conflitti, ma a pensarci bene anche gli attuali indipendentismi locali, facendo a meno delle trasformazioni storiche e reali.
Invece, l’identità e dunque il senso di appartenenza nazionale è un processo dinamico, che cambia nel tempo e nello spazio, ovvero la Nazione si costruisce giorno per giorno, e a concorrere concretamente a questa costruzione, cioè alla produzione di ricchezza materiale e culturale di un Paese è il lavoro, la fatica di tante persone che a volte, sempre di più, hanno nomi per noi difficili da pronunciare. La crisi dello Stato-Nazione, di cui spesso di parla, io credo nasca proprio dall’incapacità di percepirsi all’interno di questa dinamicità.
Eppure, la Storia del mondo è fatta di migrazioni di popoli che proprio attraverso quella diaspora hanno costruito intere civiltà: i sardi sono un popolo di migranti, anche i veneti, e anche attraverso i nostri spostamenti abbiamo eretto la nostra odierna Nazione, abbiamo partecipato all’edificazione di altre.
Dunque, ha ragione lo scrittore nuorese Marcello Fois quando scrive: “Una cultura forte è una cultura in cammino”. Dobbiamo avere, allora, il coraggio di camminare.
Se devo rivendicare quindi un orgoglio d’appartenenza, io voglio appartenere a una Nazione dell’accoglienza e non dell’esclusione: non esistono clandestini, esistono migranti, che spesso fuggono dalla disperazione, se non dalla guerra e dalla fame. Per questo oggi il dibattito sul diritto di cittadinanza si fa più stringente, e appare astorico [fuori dalle reali condizioni contingenti] non garantire alle nuove generazioni, figlie di questi viaggi verso la speranza, nate e cresciute in questo Paese, la possibilità di concorrere alla sua crescita, attraverso un pieno riconoscimento dei diritti e dei doveri, come per ogni altro cittadino italiano. S.C.