Imprinting 1
CAPITOLO I – Il coraggio
Sei nata in un freddo venerdì di dicembre, in autunno, come la tua mamma. Dicono che i nati in autunno si portino addosso la malinconia stagionale, e pensando a me stessa, debbo confermare. Certo, tu saresti rimasta nell’utero materno ancora qualche settimana, ma il mio ginecologo ha ritenuto fosse arrivato il tuo tempo.
“Sei molto coraggiosa”, mi commentavano intorno con riferimento alla scelta della gravidanza, alla mia salute, alla disabilità, alla mia condizione lontana da casa, ma questa espressione non mi lusingava, piuttosto m’infastidiva perché mi faceva sentire ancora una volta diversa dalle altre donne, mentre il mio percorso umano e intellettuale si era sempre teso a dimostrare il contrario e cioè che non c’è niente di straordinario nel convivere con una malattia, che quasi tutto si può fare, se pur in modi differenti. E se proprio di coraggio noi volessimo parlare, allora ogni madre, nella sua scelta genitoriale, è da considerarsi coraggiosa, per tutto quello che fisicamente e moralmente questo comporta, in considerazione delle tante problematiche psicofisiche connesse, perché dolorosa è la vita che nasce e che muore, doloroso esistere, ancestrale storia del mondo.
Inoltre, mi pareva quasi un insulto definirti un atto di coraggio, tesoro mio, mi piace di più pensare che tu sia un atto d’amore e che Omnia Vincit Amor [Bucoliche – Virgilio], come la mia vita ha saputo sempre dimostrare, amore per la vita, nel suo essere speranza, pur se “Piange ciò che muta, anche/per farsi migliore. La luce/del futuro non cessa un solo istante/di ferirci: è qui, che brucia/in ogni nostro atto quotidiano,/angoscia anche nella fiducia/che ci dà vita …”. [Le Ceneri di Gramsci – PP Pasolini]
Il fatto è che i disabili “si perdonano” per il loro esserci se si chiamano Ezio Bosso, Alex Zanardi o Bebe Vio, e invece tutti gli altri, nella loro semplice quotidianità “rompono i coglioni”, e scusa il francesismo, per le loro assenze dal lavoro, per i parcheggi sottratti agli altri automobilisti normodotati, per tutti quegli sgravi fiscali, insomma per tutto quello che agli occhi di chi non conosce la nostra dimensione appare come un privilegio, piuttosto che un diritto, non riuscendo a comprendere la doppia fatica degli altri e che miseria sia, rispetto alla salute, l’elemosina di una società che non ha lenti per vedere le cose con i nostri occhi, arti sufficienti per camminare nel e afferrare il mondo come noi, né cuori e polsi che palpitino del nostro disagio.
Vedi Eleonora, per me il coraggio è un’altra cosa, è imbracciare il fucile e nascondersi sui monti nel nome della rivoluzione, è guardare in faccia il plotone di esecuzione, gridando un’idea, scegliere il carcere o il rogo, piuttosto che l’abiura o il disconoscimento di un pensiero, è attraversare il deserto o il mare sapendo che violenza e morte ti attendono, ma scegliere di darti la vita è semplicemente la vita stessa e non conosco altro modo di vivere che, appunto, vivere.
La mia eredità sarà perciò questa consapevolezza che ho grattato via dal mio vissuto un po’ per volta, giorno per giorno, raccolta come conchiglie sulla spiaggia, e che in questo Zibaldone materno le mie dita sulla tastiera metteranno via anche per te.