Il senso dello scandalo
La grande mobilitazione di ieri ha sancito, pur con le sue contraddizioni interne, la necessità di riporre con forza la questione femminile al centro del dibattito politico di questo Paese. L’ancora perpetrata disuguaglianza tra i sessi è il segno più lapalissiano del regresso culturale che da almeno venti, se non trent’anni insiste su questa Nazione.
Tra le ottuse rivendicazioni di chi “non c’era”, tra lo pseudo intellettualismo di chi vuole leggere nei fatti di domenica lo scontro moralizzatore tra “buone” e “cattive” ragazze, tra chi disapprova un giustizialismo che sotto mentite spoglie invoca la forca e dall’altra parte profitta della piazza per condannare Berlusconi, mentre il berlusconismo ha ormai infettato tutta sfera politica, la peste è entrata nelle nostre case, un’epidemia in cui il modello unico si esprime anche attraverso l’uso strumentale del corpo della donna, la prostituzione si vorrebbe elevare a prassi perché se non è materiale, è intellettuale.
Sostenere che le donne devono essere libere di vendersi è, per me, che sarò tacciata di essere una moralista, radicalchic, nonché bigotta e puritana, come accettare che un lavoratore di Mirafiori o Pomigliano rinunci ai suoi diritti perché ha paura che gli chiudano la fabbrica. La formula del Capo dello Stato è quanto mai necessaria: irricevibile!
Le donne che sfilavano con me lungo Corso Palladio non puntavano l’indice contro nessuna donna, sì, c’era il senso dello scandalo che anch’io rivendico, perché per troppo tempo in questo Paese abbiamo creduto che la libertà fosse la rinuncia ad ogni rettitudine e disciplina civile e politica: il risultato è sotto gli occhi di tutti, una corruzione radicata ad ogni livello, marcata e giustificata quando trova le espressioni più barbare negli scranni del potere.
Che si faccia ancora speculazione politica anche sulla discussione della condizione femminile, non mi sorprende, certo è inevitabile, ma ha rappresentato l’aspetto più risibile di quei milioni di donne con la sciarpa bianca che sono scese in strada per dire: “Adesso Basta!”.
E poiché rivendico il senso dello scandalo, rivendico anche l’affermazione di un modello diverso del femminile, un modello che costituisce la maggioranza esistente e che pone il problema più serio: mentre le donne rappresentano l’eccellenza nei vari campi del lavoro e del sapere, oggi esse difficilmente accedono alle stanze dei bottoni, mentre con facilità s’inseriscono, passando per altre stanze. Non è accettabile e rivendico ancora il mio diritto all’indignazione. Anzi, abbiamo il dovere di indignarci.
Ho sentito parlare di lavoro ieri, di immigrazione, di futuro, di modelli culturali appiattiti su standard che non possiamo più permetterci, mentre il mondo corre dall’altra parte. Siamo fuori dalla storia, mentre la fellatio entra tra i meriti di sfolgoranti carriere, mentre sugli annunci di lavoro si richiede la bella presenza della donna semper ridens. Come fuori dalla Storia resteranno coloro che ieri in piazza non c’erano. Io voglio un’idea di donna differente, questo che abbiamo subito, in tutti questi anni, è effettivamente un modello del cazzo, una libertà del cazzo, in tutti i sensi, un’egemonia fallica alla quale, prima o poi, dovremo ribellarci seriamente.
Stefania Calledda, una femminista