Grazie Vicenza!

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Stefania Calledda e Alberto della Rovere

Stefania Calledda e Alberto della Rovere

A volte questa città ti stupisce, ti rapisce e ti abbraccia con un calore che non ti aspetti. Ci trovo sempre un pezzo di “nuoresità” in questa diffidenza d’impatto che finisce per sciogliersi in un bicchierino di “abba ardente”, la grappa nostrana, per gli amici veneti.

Così è accaduto che la sala è andata riempendosi di facce nuove, qualcuna conosciuta per carità, e i libri sono terminati e in fila hanno aspettato il turno della dedica. È andata che Alberto, dell’Associazione CasaLorca, mi ha presentato e intessuto un dialogo tra il letterario e il filosofico con la sottoscritta, con la sua pacata e cortese profondità, sicché il tono della conversazione non era poi tanto dissimile dal nostro caffè in Ca’ Balbi.

IMG_7429C’è che altrettanto gentile e attenta è stata l’accoglienza della Cooperativa Insieme, una lunga storia la loro, un’istituzione per la Città. C’è che i lettori sono stati penetranti, commoventi, la fierezza di Emiliano nella prosa, pienamente inteso il mio piglio perentorio, e dolcemente inquieta Silvia, che leggeva i miei versi, piena interprete del mio percorso, tanto che mi è parsa un cucchiaio che affonda e scava, e confesso di aver trattenuto la mia commozione.

Quando risuonano le mie parole sulla malattia, sul rapporto con i medici, alcune persone annuiscono con il capo, gli occhi s’inumidiscono: è un persorso condiviso, compreso, ecco perché ho deciso di riprendere i miei studi sull’Umanesimo della Medicina, è quell’approccio filosofico che do a ogni cosa, anche alla mia sofferenza. La filosofia e la storia entrano nella mia esperienza umana, mi aiutano a comprenderla.

Alberto comprende che nella dualità del mio scrivere c’è l’onda, la marea, il mare nella sua manifestazione ambivalente, ma anche la dialettica hegeliana e marxista. Un Gramsci preponderante in quella sera uggiosa di maggio, protagonista la Sardegna, la sua storia antica, la cultura pastorale barbaricina d’introspezione, il gusto del macabro, del sangue, la vicinanza alla sofferenza. Li citiamo tutti i grandi di Sardegna, manco vergognosamente di nominare Emilio Lussu, che sull’Altipiano di Asiago combatteva, con la Brigata Sassari, in prima linea. Un grande federalista, forse secondo solo a Carlo Cattaneo. L’amico Nereo mi sgrida, ha ragione, chiedo venia.

Tanta Sardegna appunto, perché “La sardità non dev’essere una palla al piede, delle catene che ti tengono ancorata al conosciuto, ma un paio d’ali per volare oltre il mare, verso lo sconosciuto”, ho detto.

E poi due persone mi si avvicinano con il sorriso negli occhi: “siamo sardi anche noi”, mi dicono. È l’incipit di una collaborazione con il Circolo dei sardi “Grazia Deledda” di Vicenza, se non bastassero i progetti in divenire con Orizzonti Comuni e CasaLorca. Lo dico sempre, faccio troppe cose per essere un’invalida. S.C.

 

PS: Altre immagini sono reperibili nella mia Pagina pubblica di Facebook. Nel prossimo post troverete il testo letto durante la serata di Vicenza.

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