Attraversando il Po: naufragi autunnali (2)
Seconda Parte
Pavia Il Ticino racconterà com’è fredda l’acqua sulla carne viva delle nocche delle lavandaie, e come sanguina la fatica sulle loro ginocchia. Racconterà di tante promesse sussurrate dal Ponte Vecchio, di versi d’Oltrepò, di domani improbabili, con i libri sottobraccio, dal Collegio all’Università. Racconterà di sassi e portici, di un ponte levatoio e di un fossato, di navigli e una città di mattoni rossi. Stefania Calledda, novembre 2012
Succede a Pavia. Succede che siamo ospitati in uno studentato, uno dei numerosi collegi dell’area universitaria dello storico Ateneo, succede che nel cuore della città, mentre i ragazzi escono dalle aule e sostano qua e là con il quaderno degli appunti tra le mani, tu finisca in un caffè a raccontarti verso per verso.
Succede che Silvana, che ti presenta tra i tavoli, dice che “Stefania è così, una persona integra e coerente”, che è “come il maestrale sardo: impetuosa e capace di travolgerti”. Questa Sardegna che mi porto addosso, loro non lo sanno che mentre parliamo ho al collo un cocco d’ossidiana, tipico della tradizione sarda, loro non ricorderanno i miei versi “ho un cuore d’ossidiana che racconta da dove vengo”. Ma io lo so che la mia Sardegna è nel sangue, e ribolle sempre, sempre.
Succede che i ragazzi dell’Edimes di Pavia si dimostrano acuti e profondi, un’adorabile compagnia, che dal pubblico si sente la partecipazione, l’emozione, succede che alla fine della serata lo sai che anche per chi ti ha ascoltato non sarà più come prima, che quel pezzo di vita è come una di quelle fotografie che, magari, ingialliscono, ma le conservi sempre con cura.
Succede che Pavia, di notte, trattiene la sua magia e dal Ponte Vecchio, c’è un brivido di anime che aleggiano e ti raccontano cose lontane.
Succede a Pavia, d’incontrare umane corrispondenze e di doverle lasciare con un malinconico arrivederci. Grazie. S.C.
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