Altrove

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Se sulla tavolozza il mio estro cercasse espressioni della mia serenità, se dovessi dipingere uno stato di cose che appena riappacificasse il cuore e aprisse un angolo di luce e calore, nel caotico dispiegarsi degli eventi, mi scoprirei in una dimensione immaginata, se pur non lontana ed utopica.

Mi ritroverei dietro l’ampia scrivania del mio studio, una stanza non troppo grande, ma luminosa, con una finestra basculante che lascia entrare un filo d’aria, un sospiro di vita naturale, nella costruzione artificiale di questo tempio profano. Sul piano di lavoro un libro aperto, matite e penne colorate, post-it, linguette segnalibro, altri volumi in pila un poco più distanti, il computer con la sua tastiera ergonomica di cui sono sparite le lettere a furia di pigiare e il mouse consumato dall’uso, un cassetto con l’agenda e l’abbonamento alla stagione concertistica.

Intorno solo un’immensa libreria a riempire le pareti, un piccolo impianto hi-fi quando ho voglia di armonia, o ancora distonie contemporanee dalla vaga eco jazzistica.

Bianche tende che si gonfiano al tepore delle brezze primaverili, la città che sussulta un tempo nuovo ed un fresco bicchiere d’arancia rossa, arachidi, la gatta sorniona acciambellata sulla poltrona di fronte a me, mentre un Gramsci stilizzato fiancheggia le coste isolane ergendosi alle mie spalle, ombra e monito fiero del mio essere.

Se mi devo pensare, se devo ricomporre la mia identità, non so vedermi in altro modo, al di là della fatica che mi darà da mangiare, dell’impegno e del carico degli obblighi quotidiani, la mia personalità si snoda nelle mie esplicazioni intellettuali e per quanto mi sforzi di apparire diversa, più terrena e materialista, ne ho un rigetto, un senso di inappagamento. S.C.

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