Imprinting 2
CAPITOLO II – La paura
La scorsa settimana avevo la visita fisiatrica. La dottoressa mi ha accolto con la sua solita allegria e scherzando mi ha detto: «Se non mi hai portato la bambina non ti visito!». Il fatto è che mi ha seguito durante la gravidanza e ora voleva vedere il frutto anche del suo lavoro.
Sei stata una scelta ponderata e consapevole, sei stata cercata, programmata come si fa nel nostro caso, quando bisogna scalare via i farmaci e gestirne le conseguenze, e così hai avuto una task force al tuo servizio, il neurologo, il ginecologo, lo psicoterapeuta, il fisiatra e soprattutto una mamma abituata a dover coordinare il tutto, a valutare con intelligenza il necessario. Nonostante questa dovuta pianificazione, la vita che arriva è intrinsecamente sorprendente e parteciparvi è tremendamente emozionante, inaspettato, e se non fosse per la mia resistenza intellettuale a definirlo tale, il fenomeno appare del tutto miracoloso.
È forse per questo suo manifestarsi di assoluta grandezza e meraviglia, che la vita ci spaventa, nel suo svelarsi “che atterra e suscita, che affanna e che consola” [Cinque maggio – A. Manzoni], ma nel mio essere un malato cronico, alcune questioni le ho dovute affrontare in precedenza e per questo io non ho mai avuto paura. Terrorizza solitamente l’incontro con il dolore e la prostrazione fisica, il cambiamento fisico e psichico, l’impotenza di fronte a ciò che la natura determina, senza il nostro effettivo controllo, perché la gravidanza, fuori dalla solita retorica del meraviglioso dono, è anche questo, e spero lo scoprirai, perché anche a te è dato essere donna. Io però, tutto questo travaglio l’avevo già vissuto, e mentre una gravidanza dà senso a un percorso dal più nobile degli obiettivi, la malattia rende il tutto definitivamente inaccettabile.
È sempre così penoso e triste assistere all’inadeguatezza di molti medici per quel horror vacui che li assale quando non possono più dare farmaci, quando al paziente basterebbe quella humana pietas, quella presenza, quella carezza che ci spoglia di ogni arroganza scientifica e nudi ci dichiariamo inermi tutti, paziente e medico.
E poi sei arrivata tu e ogni ecografia finiva per commuovermi perché eri sempre scoperta, così insondabile meccanica dell’universo e io madre, piccolo, piccolo, infinitesimale nulla a cui la vita si aggrappava, fisica e metafisica insieme, mi appariva così straordinario che da questo corpo provato e imperfetto potessi prendere forma tu sì, bellissima e perfetta, e ricordo le parole del ginecologo che contava, due braccia, due gambe, cinque dita per arto, due atri e due ventricoli del cuore, due bulbi oculari, lo stomaco, la vescica etc. Non sono abituata alle belle notizie.
Eri solo un’idea e ora mi riempi la giornata, ti ho cercata perché al centro della mia vita non ci fosse solo l’io e dunque la disperazione di una malattia incurabile, piuttosto ci fossi tu, una speranza che presto mi chiamerà mamma. È nella solitudine che ci annienta la paura, ho scelto di non essere più sola.