Capre e futuri possibili
“Mi fa schifo solo la parola. Una città civile non ha né ascensori né scale mobili. Solo quelle abitate da nani, zoppi e handicappati hanno le scale mobili. Se le devono mettere nel culo”, così inveiva qualche tempo fa il noto Vittorio Sgarbi, sul proposito del Comune di Urbino di rendere più accessibile il centro storico.
La gretta esternazione ha riempito le più diverse testate, suscitando lo sconcerto generale, ma, diciamocelo, esiste in questa società una folta schiera di invidui che la pensano allo stesso modo e che per pudore vivono nell’ipocrisia. Questo rigurgito d’intolleranza è molto peggio delle solite uscite infelici del soggetto qui citato.
Se analizziamo la frase, la definizione delle persone con disabilità ha una nauseante tinta fascista, per la sua violenza e turpitudine, e questa è certo la parte più incivile di non riconoscimento dell’altro da sé, privando i qui citati “nani, zoppi e handicappati” della capacità di poter avere un giudizio estetico, oltre al superamento del proprio disagio. Significa l’annientamento della persona che viene sostituita dalla sua differenza, dal suo handicap.
Il mondo dell’architettura, del design e dell’urbanistica internazionale ci dice invece che si può, che funzionale può essere anche bello, che bello può significare anche “for all”, per tutti, e dunque le gradinate marmoree invalicabili ottocentesche non sono solo retorico e pomposo spreco di spazio, ma sono obsolete come il vetusto pensiero del famoso critico d’arte.
Deve essere chiaro che anche ai “nani, zoppi e handicappati”, progetti che possano pregiudicare la bellezza storica e artistica di un luogo, non piacciono affatto. Certo è che i luoghi non sono fatti per essere messi in una cartolina, in una bolla copra il comò, i luoghi esistono per essere vissuti, da “nani, zoppi e handicappati”, come da famiglie, madri con un passeggino da spingere, anziani ecc.
C’è una cosa che che si chiama “interazione”: con i luoghi si interagisce, perché i luoghi sono soprattutto le persone che li vivono. Un’idea statica della salvaguardia del paesaggio è un’idea morta, inefficace e inefficiente sotto tutti i profili, compreso quello economico, la dinamicità del reale è di per se stessa inclusiva.
Dico questo per introdurre un articolo da me scritto, dove riporto un esempio che mi ha toccato da vicino. S.C.