Un po’ di Cagliari
Una sera come tante, esci dall’ufficio che è già buio. È stato un inverno particolarmente rigido, soprattutto ci sono stati tanti, troppi giorni di intense nebbie, di quelle per cui ti sembra di andare verso l’ignoto, di quelle che i fendinebbia non sono mai serviti a nulla e ci vorrebbe il machete, al buio poi, ti auguri di arrivare sana e salva a casa, traffico in entrata a Vicenza permettendo.
Ti fai coraggio, alzi il volume dell’autoradio per sentirti meno sola e i King Crimson, i tuoi adorati King Crimson, ti accompagnano fino a casa. Il flauto traverso ti arriva dritto alla gola, per quel magone che ti percuote e vela gli occhi di una commozione sottile e lontana, sorvolando luoghi, persone, cose vissuti. Ci vorrebbe un po’ di Cagliari, ho scritto alla mia migliore amica nella mia ultima lettera: un rewind, ecco, per riprendermi per un momento quella vita fa, quelle consuetudini, il brivido dell’assolutamente già visto, familiare, tuo. È successo una vita fa, eppure c’è lo stesso dolore, per ciò che non sarebbe dovuto accadere mai, per ciò che sarebbe dovuto accadere e non è accaduto, per gli abbracci che avrei voluto dare, che vorrei dare adesso, lacerandomi … per cose avvenute una vita fa. Attendo ancora una mail, una telefonata, un “come stai?”.
Sono cambiate molte cose, mi dicono, sono molto cambiata anch’io. La vita ha smussato le mie spigolosità come fa il mare sui nostri scogli, come fa il vento sulle nostre cime. Mi resta quel poco di durezza che mi lascia sopravvivere alle cose del mondo, come la ginestra leopardiana, l’asfodelo deleddiano. Una vita fa ero molto meno fragile, o forse lo ero esattamente come adesso, ma lo sapevo nascondere bene, una vita fa.
Ci vorrebbe un po’ di Cagliari, le ho scritto, o forse, un po’ di lei. S.C.